martedì 22 aprile 2014

Tecnologia alimentare Vs buonsenso

C'era una volta una popolazione dedita all'agricoltura, alla pastorizia, all'allevamento del bestiame e alla pesca.
C'era una volta, in ogni famiglia, minimo una persona che si occupava direttamente di coltivare e allevare il proprio cibo, o quantomeno di comprarlo dal contadino di fiducia.
C'erano una volta famiglie che si riunivano intorno a grandi cucine con un camino o un focolare sempre accesi, e insieme facevano il pane, la pasta, le conserve per l'inverno, pulivano i cereali e stipavano le patate.
C'era una volta, adesso non c'è più.
Con il perfezionarsi dei sistemi di conservazione degli alimenti abbiamo avuto la grande possibilità di rendere disponibili tutto l'anno cibi altrimenti scarseggianti: se ci sono abbastanza soldi, possiamo riuscire a mangiare decentemente senza incorrere a carenze alimentari o problemi di altro genere.

Come tutte le belle invenzioni, ahinoi, il troppo stroppia sempre.
La tecnologia alimentare che tanto ci ha dato in termini di salute, piano piano sembra richiederci indietro tutto e con gli interessi: additivi alimentari dai pochi benefici e dalle molte incognite, esaltatori di colore e sapidità che servono a venderci e farci mangiare cibi dal pessimo valore nutrizionale, gas e sostanze di varia natura "necessari" per trasformare il cibo in qualcosa che non è e stupire i nostri occhi (cucina molecolare).

Molte, troppe persone ancora riempiono le loro dispense di cibo a lunghissima conservazione con liste di ingredienti degne di un laboratorio avanzato di chimica, e poca sostanza nutriente.
Oltre al contatto diretto con i produttori degli alimenti che costituiranno i nostri pasti (e i nostri muscoli, organi, ossa, fluidi corporei), abbiamo a quanto pare perso anche il naturale buonsenso che nel corso dei millenni ci aiutava ad evitare i veleni, i marciumi, e tutto quanto fosse insalubre.

Certo, qualcuno obietterà che in passato tante persone morivano per un'errata conservazione delle derrate alimentari, per un fungo velenoso, per le muffe nel grano stoccato o tante altre cose. Verissimo: e infatti la tecnologia alimentare servirebbe in teoria ad evitare che la gente muoia per il cibo avariato.
In teoria, perchè come tutte le migliorie dell'era moderna, la tecnologia alimentare è stata messa a disposizione delle multinazionali del cibo per aumentare i loro profitti.
Ed è per questo che troppo spesso sentiamo notizie sconcertanti su persone che contraggono l'epatite a causa di numerose partite di frutti di bosco congelati, oppure, come abbiamo avuto modo di leggere di recente, di persone in coma per un contagio da botulino presente in una zuppa pronta.
Ma come: ci fanno il lavaggio del cervello sulle conserve in casa, ci dicono che rischiamo la vita a farle se non siamo più che rigorosi, e poi andiamo al supermercato e una banale zuppa pronta rischia di ucciderci? Allora meglio sarebbe farlo con le nostre mani...

Come in una brutta guerra, le persone colpite da intossicazioni alimentari vengono considerata alla stregua dei civili che muoiono nei bombardamenti: necessarie conseguenze del fuoco amico. Non importa quanti siano, uno o migliaia difficilmente i ministeri della Sanità impediranno di vendere per un bel pò frutti di bosco o zuppe: non si può bloccare l'economia, anche a scapito della salute delle persone.

E allora toccherebbe a noi praticare del sano buon senso, ma non tutti ci riescono. Molti sono lì che tergiversano sul fatto che ci vogliono più controlli, che ci vogliono più additivi, che ci vuole chissà cosa. Siamo tutti piccoli chimici, presi così tanto dai processi molecolari del cibo artefatto o conservato nei secoli da farci sfuggire la via più semplice: riprendere il controllo di ciò che mangiamo.
Eppure non è facile convincere questi tizi: in nome del progresso e della modernità, pontificano e imprecano contro i sempliciotti che inneggiano ad un "ritorno alla semplicità" ... fino a quando non capiterà a loro di venire intossicati da un cibo fuori contesto o fuori stagione.

Farsi una zuppa non è una pratica stregonesca: con un minimo di organizzazione ci vogliono 40 minuti e un quinto dei soldi che spenderemmo comprandone una pronta. Mangiare i frutti di bosco di stagione non è una pensata da geni supremi: sono più buoni e viste le notizie (quasi mille persone intossicate) decisamente più sicuri. Sbucciare la frutta, farla a pezzetti e portarsela a pranzo non è un mestiere da chef: davvero ci serve mangiare quella confezionata e protetta con atmosfera modificata?

Non c'è fretta che tenga, siamo diventati schiavi della nostra stessa ignavia e pretendiamo di giustificarla con complicati ragionamenti da scienziati...
E' ora di svegliarci, e di ricominciare a costruire focolari.
La tecnologia alimentare, releghiamola al servizio della salute...


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