mercoledì 28 luglio 2010

Il panettone, il professionista, il suv

Come ogni anno, l'estate mi provoca strani pensieri che non hanno nessuna associazione tra di loro. Ma li devo esternare, spero solo di non annoiare.

 

Il panettone

Il sindaco di Milano, in un'intervista di A, afferma di voler promuovere il panettone tutto l'anno. Nell'intervista la si vede in piena estate davanti ad una fetta di panettone accompagnata da buon gelato. "L'industria del panettone crea un indotto lavorativo di qualche migliaia di posti", annuncia il sindaco, "e mangiando panettone aiuteremo queste aziende"

Innanzitutto, credo che il caldo non abbia pietà nemmeno dei politici, visto che forse Milano dovrebbe prima risolvere i problemi di smog che creano un surplus di indotto lavorativo agli ospedali. Secondariamente, il signor sindaco forse non si rende conto che il panettone è una bomba di grassi e calorie da risultare, se consumato tutto l'anno, un attentato alle coronarie. E alla linea.

Circa 400 calorie per 100 grammi, circa il 23% di grassi, proteine e carboidrati mischiati insieme, non è certo il pasto ideale per una fresca merenda milanese. Se aggiunto al gelato, poi, arriva a costituire l'equivalente di un pranzo di tre portate... minimo.

Il professionista

Mi sono permessa di dare un suggerimento telematico a una persona che aveva dei problemi di stitichezza. Subito una professionista che non si è rivelata tale ha fatto notare che il fai da te è sempre sconsigliato e può provocare danni. Cioè, acqua e limone e un citrato sono più dannosi di una costipazione cronica?

La persona alla quale avevo dato il consiglio, peraltro non campato in aria, pare aver risolto il suo problema e ottenuto diversi benefici "collaterali". Non contenta, la professionista è uscita allo scoperto e ha detto che il codice deontologico vieta di dare suggerimenti per email o per telefono. Mi spieghi la signora per quale motivo allora i medici, tutti i medici, suggeriscono senza visitarti antibiotici, antipiretici, antitutto. E mi spieghi la signora cosa avrebbe fatto lei, visto che si è ammantata dietro un velo di mistero e voleva che la povera costipata andasse a pagare un professionista per risolvere il suo problema di stitichezza.

Sicuramente la professionista affermerà la stessa cosa di me, ma certi comportamenti non aiutano nessuna professione e soprattutto gettare discredito sui colleghi non porta da nessuna parte.

 

Il suv

Mai come in questo periodo dell'anno, mi infastidiscono a morte questi dinosauri delle strade. Una città come Roma, morente di traffico, non ha bisogno di questi furgoni mascherati da macchine fashion, guidati da gente che non sa quello che fa e parcheggiati dove capita come se fossero meteoriti piombati sulla terra.

lunedì 19 luglio 2010

Sicurezza alimentare, ortoressia, controllo del cibo, bla bla bla

Leggevo giusto oggi un articolo di Mike Adams riproposto da Marco Cedolin e poi da Informare per Resistere su Facebook.

E ho letto veramente con gusto gli interventi delle persone che ancora credono che fare attenzione a ciò che si mangia possa essere considerata una malattia o comunque una stranezza alquanto pittoresca.

Senza nulla togliere al libero arbitrio di ognuno di noi, è sconfortante constatare quanto poco ci si curi di un'azione dalla quale può dipendere la nostra salute, energia, longevità, capacità di lavorare  e quanto si deleghi alle aziende produttrici di cibo.

Siamo diventati come gli animali domestici che vivono nelle nostre case: totalmente dipendenti da altri per la scelta del cibo e drogati di "crocchette".

In effetti ci illudiamo di scegliere quello che mangiamo, ma in realtà quello che troviamo sugli scaffali dei supermercati è quasi tutto frutto di una ricombinazione di circa duecento elementi chimici e una varietà sempre più esigua di prodotti che la terra ci "offre".

Qualunque sia la scatola di cibo che stai prendendo in mano, qualunque sia il genere alimentare, troverai sempre in aggiunta conservanti, esaltatori di sapidità, coloranti, additivi; dall'omogenizzato al gelato, passando per tortellini, crackers, yogurt da bere, cordon bleu e pesce, tutto è ricombinato. Non solo: il numero delle specie vegetali che consumiamo è estremamente inferiore a quello che mangiavano i nostri nonni. L'agricoltura intensiva seleziona solo le varietà più produttive e scarta (facendo piano piano scomparire dalla faccia della terra) quelle più rustiche e adatte alle specifiche condizioni ambientali di coltura. Mangiamo sempre lo stesso mais, lo stesso grano, le stesse tre insalate, e qualche tipo di verdura fresca. Il resto, se lo dovessimo incontrare in qualche mercatino agricolo, apparirebbe ai nostri occhi come uno scherzo della natura.

Non solo: Safran Foer, nel bellissimo "Se niente importa", ci parla dell'allevamento animale. Gli animali selezionati per l'allevamento di carne sono incroci che in natura verrebbero considerati grotteschi errori: dei freak, insomma. Il pollame e i tacchini non riesco a riprodursi da soli, devono essere inseminati, maiali e bovini crescono al disopra del loro incremento di peso naturale, e vivono la loro triste esistenza bombardati di medicinali, in mezzo ai loro stessi escrementi e chissà, pure dopati di ormoni.

 

Per questo e tanti altri motivi, è molto importante conoscere quello che si mangia, come viene prodotto e quanti additivi, ormoni o antibiotici ti ci mettono dentro. E' importante perchè la prossima volta che avrai un mal di gola, il tuo antibiotico potrebbe far cilecca, e se dovesse servirti per situazioni più gravi, potresti essere  in pericolo di vita.

Di contro, se assumi ormoni senza saperlo, tu uomo rischi di vederti crescere le tette e diminuire il numero di spermatozoi e la potenza sessuale. Tu donna, andare incontro a un sovradosaggio di estrogeni che a lungo andare potrebbe causarti svariati problemi di salute.

E' ortoressia o voler acquisire consapevolezza il conoscere ciò che si mangia?

venerdì 9 luglio 2010

Ecologia ed etica del lavoro

Sono stata assente parecchio dal mio blog, ma il motivo è che ho avuto parecchio da meditare sull'argomento oggetto di questo post.

Non è che ora abbia le idee chiare, ma non si sa mai che mentre scrivo...

Il lavoro per una persona è molto di più del mero sistema che le consente di portare a casa uno stipendio a fine mese. Il lavoro è un sistema di relazioni, interazioni, ambienti, situazioni, emozioni, eccetera. In poche parole, è un complesso ecosistema che necessita di uno studio approfondito e di un'etica.

Non so come fosse il lavoro ai tempi dei nostri bisnonni e dei nostri nonni, ma le tracce delle loro lotte sono arrivate fino a noi. Perlomeno in Italia, dopo il boom economico degli anni 50 e le dure lotte sindacali, possiamo dire sommariamente che le cose sono andate bene per un po' di tempo.

Ma quello che l'uomo fa alla nostra Terra, sembra rispecchiarsi in tutte le relazioni umane e non che intrattiene: così lo stupro delle risorse del pianeta, l'incuria, il menefreghismo, il massimo profitto a scapito di tutto il resto, l'inquinamento virulento, la sensazione che stiamo facilmente raggiungendo un punto di non ritorno, si riflettono perfettamente anche nell'ambiente che più ci caratterizza nelle società moderne, e cioè sul posto di lavoro.

La tendenza è iniziata da un bel po', ma mai come in questi anni si sta massicciamente diffondendo: aziende senza scrupoli che prendono per la gola le persone che hanno bisogno di lavorare, contratti di lavoro astrusi/pocochiari/capestro che ti rendono precario per 50 anni, uso smodato e indecente degli ammortizzatori sociali (in Italia se non fai fare la Cassa integrazione ai tuoi dipendenti non sei nessuno, le mobilità fioccano), manager assolutamente incapaci di tirarci fuori da questa situazione di "crisi" e nei confronti dei quali nutro il sospetto che non gliene freghi assolutamente niente, tanto loro guadagnano cifre imbarazzantemente elevate.

Le relazioni si sfaldano, non esistono più lo spirito e l'attaccamento aziendale, la gente viene presa a calci in culo dalla mattina alla sera (metaforicamente ma anche fisicamente), vessazioni e oppressioni psicologiche vengono quotidianamente e consapevolmente messe in atto per piegare la dignità delle persone. Proprio come facciamo alla Terra e alle sue risorse.

Deprediamo in nome del profitto non solo il territorio, ma anche le anime della gente; le costringiamo a subire, e nel contempo a essere ubbidienti macchine che guardano la tv e consumano costantemente quello che la pubblicità in tutte le sue forme propina.

Ci alziamo la mattina dentro case standard, pronti a ficcarci in cubicoli nel traffico o, alle brutte, a svenire soffocati sui mezzi pubblici; ci rinchiudiamo otto, dieci ore in stanze spesso insalubri, a fare un lavoro da scimmie sottopagato e talvolta senza senso. Subiamo subiamo, subiamo, spesso senza avere la forza di capire che i nostri aguzzini sono alimentati dalla nostra paura, e che senza di essa non avrebbero più nessun potere su di noi. Finalmente usciamo, per rifare la trafila al contrario della mattina. Se siamo fortunati, la sera usciamo per andare a ficcarci in qualche altro insalubre luogo chiuso (palestra o locale che sia) o per fare la spesa al centro commerciale. Dopo il lavoro, l'unica cosa che possiamo fare è spendere, spendere, spendere (anche guardare la tv è comunque un consumo e una spesa).

Vediamo raramente la luce del sole per più di mezz'ora al giorno, e forse anche la mancanza di luce e di aria non climatizzata ci fa ragionare male: la luce artificiale impedisce i normali processi dell'organismo tipici del ritmo circadiano, e l'aria condizionata ci fa respirare a oltranza la paura, le tensioni, la rabbia di chi lavora nel nostro edificio (purtroppo i filtri non possono nulla sulle emozioni).

Permettiamo ai nostri manager di avere dei comportamenti inaccettabili, tutto in nome del "ringrazia che hai un posto di lavoro, con questa crisi!". Permettiamo di spogliarci dei nostri diritti, e poi ci ritroviamo (come ho visto questi giorni) a fare file interminabili ai centri per l'impiego: di questi tempi c'è più gente in questi posti che nei luoghi di lavoro.

 

Come inquadrare tutto questo in un blog che parla di biologico?

Credo che se reimparassimo tutti a dare il valore alle giuste cose, nessuna multinazionale potrebbe distruggere il pianeta in nome del profitto massimo, e nessun datore di lavoro potrebbe distruggere le vite di tante persone.

Se ricominciassimo a capire che una vita serena e armonica è un valore irrinunciabile, riusciremmo ad avere maggior potere sia su chi depreda che sul nostro capetto.

Se invece di andare nell'ennesimo locale, nell'ennesimo negozio di elettronica, all'ennesima boccalata in TV, coltivassimo sul balcone ma anche in strada delle piccole piante, potremmo notare che non serve lavorare 80 ore settimanali ma ne potrebbero bastare 20 per sostentarci (e decrescere).

Insomma, se ritornassimo a riavere il contatto con noi stessi e con la terra, piano piano la paura sparirebbe, e allora forse potremmo ricominciare a discutere di etica ed ecologia, fuori del e dentro il lavoro.